COME SI DETERMINA L’AMMONTARE DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO?
In sede di separazione, il Giudice, su richiesta del coniuge economicamente più debole, determina un assegno di mantenimento, condannando una parte a versare in favore dell’altra una somma di denaro con cadenza mensile. La separazione di una coppia sposata non fa venir meno il vincolo di coniugio. Le parti, infatti, sono ancora marito e moglie. Si può parlare di “ex coniuge” solo all’esito del divorzio. La separazione comporta la sospensione dei doveri reciproci dei coniugi, salvo quelli di assistenza e di mutuo rispetto. L’assegno di mantenimento trova, infatti, il proprio fondamento nel dovere di assistenza. Come già esplicato in precedenti articoli, l’assegno di mantenimento è un importo forfettizzato la cui funzione si sostanzia nel fornire al coniuge economicamente più debole, sprovvisto di redditi propri e a cui non sia addebitabile la separazione, un sostegno finanziario. Il riconoscimento dell’assegno avviene su istanza di parte e non può essere fissato d’ufficio dal Giudice.
- Come decide il Giudice se attribuire o meno l’assegno di mantenimento in favore del coniuge richiedente?
Il giudice decide se il richiedente abbia diritto alla corresponsione dell’assegno valutando una serie di parametri:
- la durata del matrimonio: la durata del matrimonio non incide sulla debenza dell’assegno, ma sul suo ammontare (Cass. Civ. n. 1162/2017). Pertanto, anche nella circostanza in cui il vincolo matrimoniale sia durato poco, il coniuge più debole ha diritto al mantenimento. Tuttavia, in casi di eccezionale brevità, la giurisprudenza ritiene che l’assegno non sia dovuto, atteso che in un contesto di tempo troppo limitato non si può creare la comunione materiale e spirituale che è alla base del matrimonio, e che comporterebbe di conseguenza il sorgere dei doveri matrimoniali, tra cui quello di reciproca assistenza morale e materiale. (Cass. Civ. n. 6464/2015; Cass. Civ. n. 402/2018);
- le possibilità lavorative del coniuge richiedente: il Giudice deve verificare se il coniuge richiedente abbia la possibilità di trovare un impiego in considerazione della sua qualifica professionale, del contesto in cui vive e dell’età. Il solo fatto che il richiedente non abbia un impiego non gli garantisce, in automatico, la corresponsione dell’assegno. Infatti, qualora si dimostrasse la concreta possibilità (e non meramente astratta) di reperire un lavoro, la richiesta verrebbe rigettata. Ad esempio, è stato negato il mantenimento al marito che aveva un’esperienza professionale pluriennale e che avrebbe potuto agevolmente svolgere un’attività lavorativa (Cass. Civ. Ord. 15166/2018; Cass. Civ. Ord. 5817/2018). Infatti, secondo la giurisprudenza, «l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi [coniugi], quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini delle statuizioni afferenti l’assegno di mantenimento; tale attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso rilievo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale, e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche» (Cass. Civ. n. 18547/2006);
- raffronto tra le situazioni economiche dei coniugi: il Giudice decide se il richiedente abbia diritto alla corresponsione dell’assegno effettuando un confronto tra le condizioni economiche dei coniugi, da cui emerga uno squilibrio patrimoniale tra le parti. Il Giudice deve considerare la condizione economica in cui versa il coniuge obbligato, ossia se questi abbia i mezzi sufficienti per far fronte al pagamento del mantenimento. Tale valutazione avviene avendo riguardo al reddito netto dell’onerato e non al lordo, in quanto, in costanza di matrimonio, la famiglia fa affidamento sul reddito netto e si rapporta ad esso. Come avviene il raffronto? Vengono analizzati i rispettivi patrimoni, valutando, in primis, gli eventuali guadagni da attività lavorativa, l’esistenza di conti correnti, risparmi, investimenti, polizze assicurative, ma anche di altri cespiti produttivi di reddito, quali ad esempio, i canoni di locazione percepiti da un immobile concesso in locazione (a tal fine le parti devono esibire le dichiarazione dei redditi dell’ultimo triennio, la documentazione attestante situazioni debitorie, come finanziamenti, mutui ecc., e le visure relative alle proprietà immobiliari). Quindi, viene attenzionato tutto ciò che concorre a creare ricchezza per le parti, tra cui anche i redditi non dichiarati, come i guadagni da cosiddetto lavoro in nero. La giurisprudenza, infatti, è costante nell’affermare che anche gli eventuali redditi derivanti dal lavoro in nero, devono concorrere alla quantificazione dell’assegno di mantenimento (Cass. Civ. n. 21047/2004; Cass. Civ. n. 9915/2007; Cass. Civ. n. 4312/2012). Infatti, il Giudice, a seguito della contestazione della parte richiedente, può disporre i dovuti approfondimenti, comprese le indagini della polizia tributaria. Inoltre, nella valutazione complessiva, vanno considerate anche le spese che ciascun coniuge dovrà sostenere da quel momento in poi: il pagamento del mutuo o del canone di locazione, delle relative utenze, di eventuali oneri condominiali, di eventuale assegno di mantenimento per ex coniuge o per figli di un precedente rapporto o matrimonio.
- assegnazione della casa familiare: in sede di separazione, il Giudice, in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, può decidere di assegnare la casa familiare al coniuge collocatario della prole. Naturalmente, questo comporta un vantaggio economico per quest’ultimo, giacché non dovrà pagare il canone locatizio, mentre costituisce uno svantaggio per l’altro coniuge (che potrebbe essere il proprietario o comproprietario) dell’immobile, il quale dovrà cercare un altro luogo ove vivere, sostenendone le relative spese. Ebbene, nella quantificazione dell’assegno, il Giudice dovrà considerare se la casa sia stata assegnata o meno al coniuge beneficiario del mantenimento, optando, nel caso, per una riduzione del quantum.
- Il tenore di vita conta ancora?
Fino agli anni 2017/2018 il parametro maggiormente considerato dai Giudici per la quantificazione del mantenimento era il tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio. Tuttavia, la Cassazione con l’Ordinanza n. 26084/2019, in analogia a quanto già previsto nel 2018 dalle Sezioni Unite per il divorzio, ha stabilito che il parametro nella quantificazione dell’assegno non può più essere il mantenimento del precedente tenore di vita, quanto piuttosto la necessità di una indipendenza economica e la possibilità di condurre una vita dignitosa e autosufficiente. Pertanto, ad oggi, l’assegno di mantenimento mira a soddisfare una mera esigenza assistenziale e perequativa, ossia equilibratrice, finalizzata non già alla ricostituzione del tenore di vita goduto durante il rapporto matrimoniale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dei coniugi stessi.
- L’ammontare dell’assegno di mantenimento è rivedibile?
L’assegno di mantenimento, una volta ottenuto, non è immodificabile o irrevocabile. Infatti, a determinate condizioni, può esserne modificato l’importo (in aumento o diminuzione) oppure può essere revocato.
La revisione o revoca può avvenire:
- su accordo dei coniugi;
- o all’esito di una procedura giudiziale, qualora ricorrano giustificati motivi, cioè fatti nuovi e sopravvenuti rispetto alla sentenza che aveva attribuito l’assegno di mantenimento. In linea generale, può trattarsi di miglioramenti o peggioramenti della situazione economica del coniuge obbligato (perdita del lavoro ad esempio) o del coniuge beneficiario (assunto in un’attività lavorativa), oppure della sopravvenuta convivenza del coniuge beneficiario dell’assegno o del coniuge obbligato. In ogni caso la revisione non è mai automatica, ma va valutata caso per caso e richiesta con ricorso da depositare in Tribunale.
Questo è un quadro generale dell’argomento, se necessiti di maggiori informazioni o di una consulenza personalizzata scrivi un'e-mail a info@studiolegaleninni.it
Avv. Fortunata Ninni
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