IL REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA, COME DIFENDERSI



La fattispecie penale dei maltrattamenti in famiglia, prevista dall’art. 572 c.p. rubricato “Maltrattamenti contro familiari o conviventi”, rientra nella categoria dei reati contro la famiglia. Infatti, il bene giuridico tutelato è l’integrità psico-fisica di persone appartenenti a contesti familiari o para-familiari. Più nello specifico, viene salvaguardato il legame giuridico tra persone appartenenti alla stessa famiglia o ad un vincolo interpersonale ad essa assimilabile (quale quello che si viene ad instaurare tra una persona e un’altra sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, come tra insegnante e alunno).
  • Cosa si intende per maltrattamenti in famiglia? L’art. 572 c.p. punisce chi maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o affidata a lui per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, attraverso condotte quali minacce, lesioni, atti di disprezzo e umiliazione, ingiurie e privazioni nei confronti della vittima. Si parla senz’altro di maltrattamenti in famiglia quando il fatto sia commesso nei confronti di figli, di genitori, del coniuge o di altri familiari conviventi (tra cui il convivente more uxorio). La casistica di condotte che possono rientrare in questa fattispecie penale è vasta. Assumono rilevanza, infatti, non solo gli episodi di pura e semplice violenza fisica, ma anche quelli di violenza o soggezione psicologica, che comprimono o impediscono lo sviluppo della personalità della vittima. In altre parole, non vi rientrano soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce, le privazioni e le umiliazioni imposte alla vittima, sono ricompresi anche gli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali. Per fare degli esempi pratici di maltrattamenti in famiglia consistenti in condotte non violente, si pensi al caso del/la padre/madre che sistematicamente lascia il figlio senza cena perché non gli/le va di cucinare o di fare spesa. Si pensi, ancora, all’insegnante che, sistematicamente, durante le sue ore di lezione, non dà il permesso agli alunni di andare al bagno, costringendoli a trattenere i propri bisogni con conseguenze, a volte, gravi e imbarazzanti, o, ancora, ad un uomo che ripetutamente rivolge parole di offesa e insulto alla compagna, ostentando frequenti rapporti sessuali da lui avuti con altre donne (Cass. Pen., Sez., VI, 29 settembre 2022, n. 41568), o che la disprezza per il modo di gestire la prole o la casa, o che la isola dai contesti sociali o lavorativi.
  • La convivenza tra soggetto maltrattante e vittima è un requisito necessario per la configurazione del reato? A tale domanda la Corte di Cassazione ha risposto in modo negativo con la recente sentenza n. 30129/2021, secondo la quale il reato di maltrattamenti in famiglia può ravvisarsi in tutti i casi in cui, nonostante l’interruzione della convivenza, residuino rapporti di stabile frequentazione e di solidarietà, soprattutto allorché dovuti alle comuni esigenze di accudimento e di educazione dei figli (ad esempio due ex conviventi che mantengono, nonostante la sentenza di separazione, o di divorzio o la rottura della convivenza more uxorio, un rapporto stabile e continuativo nell’interesse dei figli). Dunque, il rapporto di convivenza non è requisito essenziale, purché vi sia un rapporto di affidamento reciproco tra le parti.
  • Affinché possa configurarsi il reato, gli episodi di maltrattamento devono essere continui e durevoli da tempo? I maltrattamenti costituiscono un reato abituale, pertanto, i fatti acquistano rilevanza penale solo a seguito della loro reiterazione nel tempo. Tuttavia, La Corte di Cassazione ha precisato che gli atti oggetto del reato in questione non devono per forza di cose essere realizzati per un tempo prolungato, essendo sufficiente la loro ripetizione anche in ambiti temporali circoscritti (due soli episodi, però, non vengono considerati sufficienti ad integrare il reato poiché in tal caso non sussisterebbe la caratteristica dell’abitualità che la norma richiede, Cass. Pen. n. 35997/2020).
  • Quale pena è prevista dall’art. 572 c.p.? Con la L. 69/2019, anche nota come “Codice Rosso”, si è intervenuti su alcune fattispecie penali già esistenti prevedendo degli inasprimenti di pena e introducendo, altresì, nuove fattispecie di reato. Il termine “codice rosso” deriva, infatti, dall’urgenza medica con la quale vengono trattati alcuni casi rispetto ad altri. Lo scopo della Legge è proprio questo, dare la priorità assoluta, in ambito investigativo, ad alcuni reati, in considerazione del loro allarme sociale e dell’epilogo a volte tragico che si verifica per la vittima. La pena prevista per il reato di maltrattamenti in famiglia è la reclusione da tre a sette anni. La pena è aumentata fino alla metà nel caso in cui il fatto sia commesso in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità. Se invece dal fatto deriva una lesione personale grave la pena è la reclusione da quattro a nove anni. Nel caso in cui ne derivi una lesione gravissima, si applica la pena della reclusione da sette a quindici anni. Se ne deriva la morte la pena è della reclusione da dodici a ventiquattro anni. Oltre alle pene previste dall’art 572 c.p., è possibile che durante le indagini preliminari, il Pubblico Ministero, richieda l’applicazione di una misura cautelare per evitare possibili contatti tra l’autore del reato e la persona offesa. L’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, il divieto di dimora, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, sono le misure più applicate oltre agli arresti domiciliari ed alla custodia cautelare in carcere per i reati più gravi. In caso di madre con minore/i vittime di tali maltrattamenti, il P.M., in loro tutela, può disporre anche la collocazione del minore solo o con la madre presso una struttura casa-famiglia protetta. 
  • Occorre sporgere querela per avviare un procedimento penale a carico del maltrattante? Il reato di maltrattamenti in famiglia appartiene alla categoria dei reati procedibili d’ufficio. Che significa? Occorre distinguere tra reati “perseguibili a querela di parte” per i quali è necessario proporre una querela per chiedere la punizione del presunto responsabile, in mancanza della quale il procedimento penale non potrà iniziare, e reati, invece, “procedibili d’ufficio”, per i quali non è necessario che venga sporta querela da parte della persona offesa, essendo possibile che il procedimento penale cominci a seguito di una denuncia o di una semplice segnalazione da parte di chiunque alla Procura della Repubblica.  Quindi, la denuncia da parte di un qualsiasi cittadino farà iniziare il procedimento penale, che andrà avanti al di là dalla volontà della persona offesa.
  • Dopo aver sporto querela, posso ritirarla? Purtroppo, capita piuttosto spesso che la vittima del reato di maltrattamenti, dopo aver sporto querela, torni sui suoi passi a seguito di ripensamenti o di una riappacificazione avvenuta con l’autore del reato. La risposta a questa domanda è negativa. Come anzidetto, infatti, il reato di maltrattamenti è un reato procedibile d’ufficio, ciò significa che il processo penale inizierà e continuerà a prescindere dalla volontà della vittima del reato, che decida eventualmente di rimettere la querela. La persona offesa potrà, eventualmente, far presente in dibattimento l’avvenuta riappacificazione con il maltrattatore, ma tale circostanza non impedirà al Giudice di valutare comunque la relativa responsabilità penale, e se del caso, condannarlo.
  • Cosa fare se sei vittima di maltrattamenti in famiglia? In primis, se hai subito violenza fisica, recati presso il Pronto Soccorso per ricevere le cure necessarie e per far refertare le lesioni, per avere documentazione probante l’accaduto. Contatta un avvocato penalista per ricevere informazioni esaustive sui tuoi diritti e sui servizi di protezione e sostegno disponibili sul territorio. Rivolgiti alle forze dell’ordine per sporgere querela o comunque per ricevere un qualche aiuto concreto in difesa dell’aggressore. Non avere paura o vergogna di chiedere aiuto, hai diritto a essere protetto/a e a non subire condotte violente di qualsivoglia natura. Non si è soli, esiste una rete legale di protezione delle vittime. Inoltre, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità promuove il servizio pubblico del 1522, un numero gratuito e attivo h24 che accoglie, con operatrici specializzate, le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e di stalking. La pagina web del servizio 1522 fornisce la mappatura aggiornata dei Centri Antiviolenza e di altri servizi a cui le operatrici indirizzano le vittime. I servizi di mappatura collegati al servizio di pubblica utilità 1522 sono: 
    • Centri antiviolenza e servizi specializzati
    • Consultori pubblici
    • Servizi sociali di base
    • Aziende sanitarie locali
    • Aziende ospedaliere pubbliche
    • Consigliere di parità
    • Caritas diocesane
    • Numeri pubblici di emergenza (112,113,118)
    • Pronto soccorso con specifici percorsi rosa per le donne vittima di violenza
    • Associazioni di donne o servizi specializzati contro la violenza verso straniere 
Se necessiti di maggiori informazioni o di una consulenza personalizzata scrivi un'e-mail a info@studiolegaleninni.it

Avv. Fortunata Ninni

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