I MESSAGGI WHATSAPP VALGONO COME PROVE IN GIUDIZIO?



È oramai pacifico che, nella società odierna, la tecnologia costituisca una componente “dominante” della nostra quotidianità, e, notevoli sono gli effetti che essa comporta in tanti ambiti della nostra vita. Nel momento in cui si intrattiene una conversazione sulla piattaforma WhatsApp lo si fa con “naturalezza” ed “ovvietà” senza riflettere troppo sui potenziali risvolti di quanto viene scritto ed inviato. Tutto ciò si riversa anche in ambito giuridico e nel diritto processuale. È così sorta, anche in giurisprudenza, la necessità di chiarire ed affrontare la questione in ordine alla natura, e, conseguentemente, al regime di acquisizione, assunzione e valutazione probatoria dei messaggi scambiati tramite WhatsApp all’interno del processo civile e penale.
  • In ambito civile:
L’articolo 2712 del Codice Civile dispone che “…ogni rappresentazione meccanica di fatti e cose forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentante, se colui contro il quale sono state prodotte non ne disconosce la conformità…”. Ed ancora l’articolo 2719 del Codice Civile sancisce “le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta”.
I messaggi WhatsApp, dunque, hanno natura di documenti informatici e pertanto sono acquisibili in processo. Ne consegue che la copia cartacea o digitale di un documento informatico costituisce una riproduzione meccanica con valore probatorio, purché non sia contestata dalla controparte. Tale principio è stato fissato dalla Corte di Cassazione, intervenuta sul punto con varie pronunce. Con la sentenza n. 49016 del 2017 gli Ermellini hanno affermato che, a prescindere dalle emoji o dalle reazioni eventualmente contenute, ogni messaggio ha valore di prova documentale. Questo vale anche per i media di cui resti traccia nelle conversazioni di WhatsApp: foto, video e GIF. Insomma tutto ciò che viene scritto o inviato tramite la piattaforma di proprietà del gruppo Meta può valere come prova contro il mittente, purché però vi siano i supporti informatici (gli smartphone o il pc) nei quali sono presenti le conversazioni in oggetto, in caso contrario, non assumeranno valore probatorio i messaggi estratti dall’utenza telefonica e prodotti con semplice trascrizione su fogli word.
  • Oltre che esibirli direttamente dal supporto informatico, come possono essere acquisiti in giudizio i messaggi?
    1. A patto che il device usato come fonte sia presente a sua volta in aula, sono ammesse anche delle copie: gli screenshot del display del dispositivo con la conversazione, stampandoli o allegandoli in una chiavetta Usb al fascicolo processuale.
    2. La testimonianza, con cui la persona che abbia letto il contenuto dei messaggi riferirà davanti al giudice sul contenuto di quanto ha letto direttamente sul dispositivo.
    3. La consulenza tecnica in caso di contestazione sull’autenticità del messaggio, chiedendo al giudice di nominare un perito che esamini il supporto e la chat e ne riporti il testo su un documento cartaceo. La relativa trascrizione è condizionata dall’acquisizione del supporto contenente la conversazione.
    4. Inoltre, è possibile munirsi di una copia conforme ed autenticata dei messaggi ad uso legale, da depositare in giudizio, con attestazione di conformità delle trascrizioni o degli screenshot delle conversazioni presenti sul supporto informatico.
  • In ambito penale:
In ambito penale, le conversazioni contenute in WhatsApp, Telegram o altre applicazioni sono considerate una forma di memorizzazione di un fatto storico, comparabile ad una prova documentale, e, per tale ragione trova applicazione l’articolo 234 Codice di procedura penale, dedicato proprio alla prova documentale, intesa come ogni scritto o altro documento in grado di rappresentare fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia o qualsiasi altro mezzo (Cassazione sentenza n. 39529/2022).
  • Acquisire le prove di una conversazione attraverso queste modalità integra una violazione della privacy?
La Suprema Corte con la sentenza n. 8332 del 2 marzo 2020 ha ribadito un proprio precedente principio secondo cui “non esiste alcuna illegittimità nella realizzazione di una fotografia dello schermo di un telefono cellulare, sul quale compaiano messaggi sms, allo scopo di acquisirne la documentazione, non essendo imposto dalla legge alcun adempimento specifico per il compimento di tale attività, che consiste, sostanzialmente, nella realizzazione di una fotografia e che si caratterizza solamente per il suo oggetto, costituito, appunto, da uno schermo sul quale siano leggibili messaggi di testo, non essendovi alcuna differenza tra una tale fotografia e quella di qualsiasi altro oggetto, con la conseguente legittimità della sua acquisizione.” Nello specifico, nell’ambito di un contesto matrimoniale e familiare, il Tribunale di Roma nella sentenza n. 6432/2016 ha sancito la piena utilizzabilità degli SMS e di conseguenza la mancata violazione della privacy, dichiarando che: “è la stessa natura del vincolo matrimoniale che implica un affievolimento della sfera di riservatezza e la creazione di un ambito comune, nel quale vi è una implicita manifestazione di consenso, alla conoscenza di dati e comunicazioni di natura anche personale”.
Sottolineando, inoltre, che, ai fini dell'esclusione della vigenza della privacy e, soprattutto, quando manchi una specifica cura nel proteggere i propri dati: “non può ritenersi illecita la scoperta casuale del contenuto dei messaggi, per quanto personali, facilmente leggibili su di un telefono lasciato incustodito in uno spazio comune dell'abitazione familiare”.

Questo è un quadro generale dell’argomento, se necessiti di maggiori informazioni o di una consulenza personalizzata scrivi un'e-mail a info@studiolegaleninni.it

Avv. Fortunata Ninni

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